Influencer e Blogger – Professioni emergenti senza tutela? Quali precauzioni legali.

Influencer e Blogger - Professioni emergenti senza tutela? Quali precauzioni legali - Agcom

Quali precauzione legali devi prendere se sei un influencer/blogger emergente? Il tuo profilo Instagram o il tuo blog sta avendo molto successo e qualche azienda ti ha contattato per promuovere i loro prodotti? Da una ricerca su internet ho notato che ci sono molti articoli che parlano degli aspetti legali dell’influencer marketing dal punto di vista delle aziende che vogliono assumere un influencer per promuovere i loro prodotti. Non sembrerebbe esistere invece una analisi della vicenda dal punto di vista dell’influencer o del blogger.

Chi è un influencer o un blogger.

L’influencer (o blogger) non è altro che un libero professionista/imprenditore di sé stesso, il quale ha un tale seguito su internet (sia social media che blog personali) da poter influenzare le scelte di acquisto dei loro seguaci. Questo li rende ottimi testimonial per aziende più o meno grandi che stipulano contratti di sponsorizzazione o scritture private. Cominciamo subito con il dire che un influencer/blogger capace di attirare l’interesse delle aziende, non è tanto quello che ha il maggior numero di followers, ma quello che ha maggiore influenza su di loro. L’attività di queste nuove figure professionali consiste nella creazione di contenuti digitali (foto, post, stories, video, articoli ecc.) attraverso i quali vengono pubblicizzati prodotti e/o servizi di una determinata azienda. Così facendo l’influencer/blogger indirizza il proprio pubblico all’acquisto di quel determinato prodotto trasformando i followers in possibili consumatori.

Alcuni siti e società, classificano gli influencer blogger in:

  • small: colui che ha da 1.000 a 20.000 followers;
  • medium: colui che ha dai 20.000 ai 100.000 followers;
  • large: colui che ha dai 100.000 ad 1.000.000 di followers;
  • extra large: colui che ha un numero superiore al 1.000.000 di followers;

Personalmente ritengo questa distinzione non perfettamente esatta.  Infatti dipende dal numero di soggetti che sono disposti ad acquistare il prodotto sponsorizzato dall’influencer/blogger, non dal numero dei followers totali. Pertanto un influencer con 10.000 followers potrebbe risultare comunque più appetibile per una azienda rispetto ad uno con 50.000 followers. Il sito influencerwiki infatti, oltre a fare una classifica degli influencer con il maggior numero di followers, fornisce anche una classifica in base al numero di coinvolgimento dei followers attivi.

In quale quadro normativo si inserisce la figura dell’influencer/blogger?

Nei primi anni del decennio scorso si pensava che i social media fossero un luogo dove tutto fosse permesso. Questo solo perché i poco attenti, non rinvenendo nell’ordinamento norme specifiche per queste nuove figure professionali, hanno pensato che non vi fossero regole. Contrariamente sono applicabili regole già esistenti seppur per altri ambiti. È necessario fare una distinzione tra le norme che riguardano l’attività commerciale dell’influencer/blogger (e quindi il rapporto con l’azienda), da quella dei diritti nascenti in capo al creatore delle foto, post, stories, video, articoli ecc. (identificato con il diritto d’autore), diritto all’immagine. Per questa ultima attività, gli influencer più importanti si avvalgono dei digital content creator (DCC) ma di certo gli influencer/blogger in erba non sono così strutturati e soprattutto ancora non guadagnano così tanto da potersi permettere figure professionali così specifiche.

Norme attinenti all’attività commerciale.

Anche in questo ulteriore caso è necessario fare una distinzione tra norme che riguardano il rapporto contrattuale tra l’azienda e l’influencer/blogger, da quelle che regolano l’attività pubblicitaria. Il primo assetto normativo è sicuramente più semplice in quanto regolato dagli articoli del codice civile sui contratti relativi alla prestazione d’opera (articolo 2222 c.c.) e sulle responsabilità che ne derivano.

Il secondo, più complesso e composto da norme e regolamenti di autodisciplina, riguarda principalmente:

  • il codice del consumo ex. D.Lgs. 206 del 2005;
  • le norme riguardanti la pubblicità comparativa previste dal D.Lgs. 145/2007;
  • le norme riguardanti le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno come previsto dal D.Lgs. 146/2007 in attuazione della Direttiva CE 2005/29/CE;
  • l’articolo 2598, 2^comma del codice civile;
  • il codice IAP (Istituto Autodisciplina Pubblicitaria);
  • il regolamento Digital Chart;
  • il codice della proprietà industriale;

Norme attinenti al diritto all’immagine ed al diritto d’autore.

  • l’articolo 10 del codice civile
  • la Legge 633/1941 sul Diritto di Autore

Le norme sopra citate, tranne il regolamento Digital Chart, sono regole relative alla pubblicità tradizionale. L’intero assetto normativo si prefigge lo scopo di tutelare tutte le parti in gioco, dal consumatore alle imprese. L’influencer, così come il blogger, non è altro che lo strumento utilizzato dalla aziende per far arrivare il messaggio pubblicitario al consumatore. Per questo il ruolo dell’influencer e del blogger è centrale in questa attività e deve conoscere adeguatamente cosa può e cosa non può fare al fine di non incorrere in sanzioni per se o per l’azienda che lo ha scelto.

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Come deve essere impostata l’attività dell’influencer o del blogger.

Al fine di non incorrere in sanzioni, che probabilmente l’azienda con una clausola di manleva farebbe ricadere sull’influencer o il blogger, è necessario rispettare alcune semplici regole che possiamo qui semplificare:

  • la trasparenza: il messaggio prodotto, che sia foto, video o testo, deve riportare sempre l’indicazione che si tratta di una pubblicità o di una sponsorizzazione. Per esempio il codice Chart indica gli hasthag necessari. L’hasthag identificativo della pubblicità deve essere tra i primi tre identificativi del post, immagine, storia, video o altro. Insomma la pubblicità non deve essere occulta;
  • la correttezza dell’informazione: l’informazione non deve essere ingannevole o aggressiva;
  • evitare pubblicità negativa: non è ammessa la pubblicità comparativa nella quale un prodotto viene denigrato in favore di un altro. La comparazione è ammessa ma deve essere composta da soli dati oggettivi;

Differenza tra sponsorizzazione, pubblicità a pagamento e libera manifestazione del pensiero.

Un punto essenziale nell’attività dell’influencer o blogger riguarda il rapporto sottostante che c’è con l’azienda. Ipotizziamo tre casi:

  • l’azienda stipula un contratto di pubblicità con l’influencer o blogger per un prodotto;
  • un brand, in occasione di un evento (viaggio in Lapponia), fornisce vestiario adeguato ai climi rigidi al blogger che si occupa di viaggi;
  • una influencer ha acquistato un prodotto (rossetto);

L’azienda stipula un contratto di pubblicità con l’influencer o blogger per un prodotto:

questa ipotesi è chiara e non desta alcun problema interpretativo ed il blogger e l’influencer devono indicare gli hasthag identificativi della pubblicità.

L’articolo 2 del regolamento Digital Chart recita : Nel caso in cui l’accreditamento di un prodotto o di un brand, posto in essere da celebrity, influencer, blogger, o altre figure simili di utilizzatori della rete che con il proprio intervento possano potenzialmente influenzare le scelte commerciali del pubblico, (di seguito, collettivamente, influencer), abbia natura di comunicazione commerciale, deve essere inserita in modo ben visibile nella parte iniziale del post o di altra comunicazione diffusa in rete una delle seguenti diciture:  “Pubblicità/Advertising”, o “Promosso da … brand/Promoted by … brand” o “Sponsorizzato da … brand/Sponsored by … brand”, o “in collaborazione con … brand/In partnership with … brand”; e/o nel caso di un post entro i primi tre hashtag, purché di immediata percezione, una delle seguenti diciture: “#Pubblicità/#Advertising”, o “#Sponsorizzato da … brand/#Sponsored by … brand”, o “#ad” unitamente a “#brand”.

Nel caso di contenuti “a scadenza”, quali ad esempio le stories, una di tali diciture deve essere sovrapposta in modo ben visibile agli elementi visivi di ogni contenuto promozionale.

Un brand, in occasione di un evento (viaggio in Lapponia), fornisce vestiario adeguato ai climi rigidi al blogger che si occupa di viaggi:

in questo caso l’azienda, regalando uno o più prodotti, chiede comunque che venga effettuata la pubblicità su quell’articolo. Sempre l’articolo 2 del medesimo regolamento prevede specificatamente questa fattispecie:  “Nel diverso caso in cui il rapporto tra influencer e inserzionista non sia di committenza ma si limiti all’invio occasionale da parte di quest’ultimo di propri prodotti gratuitamente o per un modico corrispettivo, i post o altre comunicazioni diffuse in rete dall’influencer che citino o rappresentino tali prodotti dovranno contenere – in luogo delle avvertenze di cui sopra – un disclaimer del seguente tenore:  “prodotto inviato da … brand”, o equivalente”

Una influencer ha acquistato un prodotto (rossetto):

Nella terza ipotesi invece, manca totalmente il rapporto con l’azienda. Il soggetto decide di manifestare liberamente e spontaneamente gli apprezzamenti sulle qualità di quel prodotto acquistato. In questo caso non c’è bisogno di alcun hasthag o tag identificativo della pubblicità.

AGCOM e le moral suasion

In Italia l’AGCOM ha cominciato a trattare l’argomento nel 2017 quando ha ammonito alcuni importanti marchi e ricordato loro che la pubblicità deve sempre essere chiaramente riconoscibile su qualsiasi piattaforma viene fatta. Queste ammonizioni, definite “moral suasion” sono state inviate a sette influencer e undici brand per pubblicità svolta sul social media instagram, al fine di sollecitare la necessità di una maggiore trasparenza e chiarezza sul contenuto dei post pubblicati, evidenziando che il divieto di pubblicità occulta si applica anche alle comunicazioni diffuse tramite social network.

L’Agcom nel comunicato stampa sull’influencer marketing del 2017 ha sottolineato che “la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale affinché l’intento commerciale sia percepibile dal consumatore e che il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite social network non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand ”. (clicca qui)

Nel 2018 l’Agcom è tornata sull’argomento portando a termine una seconda azione di contrasto a forme di pubblicità occulta sui social media realizzata da personaggi pubblici con un numero di follower non elevato. In collaborazione con il nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza, l’Autorità ha inviato lettere di moral suasion a numerosi influencer e marchi utilizzati dagli stessi. Tale attività era finalizzata a ricordare che se da un lato la visualizzazione di prodotti unitamente al posizionamento di tag al sito o al brand sono idonei ad esprimere un effetto pubblicitario, dall’altro la mancanza di ulteriori elementi può non rendere evidente per tutti i consumatori l’eventuale natura promozionale delle comunicazioni (Fonte Agcom)

La relazione annuale dell’Agcom 2018.

(Fonte Agcom)

Nel corso del 2017, l’Autorità è intervenuta in uno dei settori maggiormente innovativi, quello dell’influencer marketing, che è diventato una potente forma di pubblicità. Il fenomeno fa riferimento a post, immagini e contenuti diffusi su social network (come Facebook o Instagram) da influencers, ovvero personaggi di riferimento del mondo online che hanno un numero elevato di followers e sono in grado di influenzare appunto i gusti del pubblico, mostrando sostegno o approvazione per determinati marchi e generando così un effetto pubblicitario, ma senza palesare in modo chiaro e inequivocabile ai consumatori la finalità pubblicitaria della comunicazione. In relazione a tale strategia comunicazionale, su cui in Italia non si sono precedentemente registrati interventi né di vigilanza né di tipo regolatorio, l’Autorità ha deciso di utilizzare, in questa fase iniziale, lo strumento della moral suasion.

In particolare, nelle comunicazioni inviate a influencers e titolari dei marchi, l’Autorità ha ricordato che la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, affinché l’intento commerciale di una comunicazione sia percepibile dal consumatore, ed ha, quindi, evidenziato come il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencers lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand. L’Autorità ha, dunque, invitato i destinatari delle moral suasion a rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale, ove sussistente, in relazione a tutti i contenuti diffusi mediante social media, attraverso l’inserimento di apposite avvertenze.

La risposta degli influencer è stata pienamente collaborativa, avendo essi recepito le indicazioni dell’Autorità non solo per i post oggetto di moral suasion, ma anche per quelli relativi ad altri marchi. A loro volta, i titolari dei marchi hanno dichiarato l’impegno a richiedere agli eventuali influencers/ testimonials di conformarsi, per il futuro, ai principi delineati dall’Autorità. In generale, l’intervento dell’Autorità, considerata l’ampiezza e l’attualità del fenomeno, assume un valore segnaletico per tutti gli operatori interessati all’influencer marketing.

Conclusioni

Il mondo dei social media si evolve molto velocemente e sicuramente la normativa non riesce a stare al passo. Ciò non toglie che le norme generali sulla pubblicità esistono e sono sempre applicabili. L’influencer o blogger che comincia ad avere un discreto pubblico deve, al pari di qualsivoglia imprenditore di se stesso, affiancarsi ad un professionista che lo possa consigliare, guidare e  fornire una tutela adeguata a 360 gradi. Soprattutto che non gli faccia firmare contratti o accordi capestri o particolarmente svantaggiosi. Ricordate che una firma su un contratto sbagliato può avere conseguenze particolarmente dolorose (economicamente parlando) e deleterie per la reputazione.

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