D.LGS. 231/01 responsabilità amministrativa degli enti (parte 1 di 2)

Come è noto, il “D.Lgs 231/01 responsabilità amministrativa degli enti e delle società”,  ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa di Enti e Società da accertare in sede in sede penale.

Si può parlare di una vera e propria rivoluzione nell’ambito del diritto Nazionale in quanto fino alla sua attuazione, le società, anche conformemente all’art. 27 della nostra Costituzione, non potevano delinquere. E’ raffigurabile una pseudo responsabilità penale in conseguenza dei reati commessi a proprio interesse e vantaggio da parte di collaboratori dipendenti e/o persone che rivestono ruoli apicali. Il legislatore nella relazione accompagnatoria al Decreto Legislativo ha preferito però introdurre un tertium genus di responsabilità che si pone a cavallo tra la responsabilità amministrativa e quella penale.

La finalità del Decreto Legislativo è stato quello di reprimere ogni forma di economia illegale ed è nato dall’esigenza di punire direttamente gli enti o società nel cui interesse è stato commesso il reato. Infatti prima dell’attuazione del Decreto, sulla base del principio che le società non esprimono una propria volontà, ma agiscono attraverso i soggetti che la compongono.

I responsabili di eventuali reati erano sempre e solo le persone fisiche, pur avendo commesso i reati in favore della società. Questo consentiva all’impresa di godere comunque del vantaggio ottenuto discriminando così tutte le aziende che tendevano a conseguire il proprio utile rispettando le regole, falsando di fatto il mercato.

Quali enti sono i destinatari della normativa?

La disciplina relativa alla responsabilità amministrativa dipendente da reato si applica a tutti i soggetti forniti di personalità giuridica, alle società ed associazioni anche prive di personalità giuridica. Sono comunque previste specificatamente delle esclusioni. Queste sono: le società di fatto, i fondi comuni di investimento, lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Pertanto, società c.d. “miste” ovvero le società tra privati e la Pubblica Amministrazione e gli enti pubblici economici rientrano nella fattispecie che possono essere considerate responsabili ex D.Lgs 231/01.

Quando un ente o società è responsabile per i fatti commessi dal proprio dipendente?

Un ente o società è responsabile penalmente nel momento in cui una persona fisica (che riveste un ruolo all’interno dell’ente o società) commette uno dei reati previsti dallo stesso decreto legislativo nell’interesse o nel vantaggio dell’ente.

Spetterà, dunque al giudice penale decidere sulla responsabilità penale dell’ente collegata alla commissione di reati da parte dei propri dipendenti ( per esempio a titolo esemplificativo: corruzione, concussione, truffa aggravata, frode informatica, reati societari, ecc…) realizzate nell’interesse dell’ente medesimo. L’eventuale accertamento di tale responsabilità da parte dell’ente, non comporta certo le  “classiche sanzioni” previste dal codice penale (reclusione, multa, arresto e contravvenzione), ma saranno sanzioni amministrative che vanno dal pagamento di una somma, alla revoca di licenze o alla sospensione della propria attività per un determinato periodo di tempo.
Tuttavia l’art. 6 del D.Lgs 231/01 prevede l’esonero da responsabilità dell’ente che dimostri di aver attuato al proprio interno modelli di organizzazione e di controllo idonei a prevenire il compimento degli illeciti stabilendo l’apposita creazione di un Organo di vigilanza interno.

Quali sono i criteri di responsabilità?

L’art. 5 del D.Lgs 231/01 prevede che :

a) “l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)”

Questo sempre che il soggetto non abbia agito nel suo esclusivo interesse personale. In tal caso non si può parlare di responsabilità dell’ente.

Diciamo che è possibile parlare di una responsabilità oggettiva in base alla quale è ascrivibile alla società la responsabilità amministrativa dipendente da un reato. Le condizioni oggettive per l’incolpazione del fatto sono due. Una riguarda l’interesse della società e quindi la finalità dell’azione, l’altra il vantaggio che la società ne ricava e quindi gli effetti dell’azione posta in essere. Per far si che la condotta illecita ricada sull’ente è necessario che il soggetto, autore del reato presupposto, sia in posizione apicale, o subordinata.

Per posizione apicale si intende un soggetto  che riveste funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione, mentre per i soggetti che si trovano in posizione subordinata si intendono quei soggetti che sono sottoposti alla direzione ed alla vigilanza dei soggetti apicali.

Ai fini sempre dell’attribuzione della responsabilità amministrativa è necessario che, oltre all’aspetto oggettivo di cui sopra, ci sia anche un aspetto soggettivo, inteso non come colpevolezza (come nel codice penale per le persone fisiche) ma come rimprovabilità. Pertanto ai sensi del Decreto Legislativo, l’ente sarà destinatario di sanzioni amministrative solo nel caso in cui ad esso sarà rimproverabile una condotta antigiuridica, effettuata mediante scelte consapevoli o quantomeno consistenti nell’inosservanza degli obblighi  di predisporre adeguate misure preventive, di controllo e di vigilanza.

Modello di organizzazione e di controllo.

Abbiamo visto che l’art. 6 del D.Lgs. 231/01 prevede l’esonero della responsabilità amministrativa da parte della società o ente che dimostri di aver adottato un valido modello di organizzazione e controllo e qualora riesca a provare che “l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della fattispecie di quello verificatesi”.

Questo significa che avere un modello di organizzazione e controllo non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell’ente. E’ necessario che il modello attuato sia in astratto idoneo a prevenire il reato che viene contestato ed inoltre deve essere provato che l’organo dirigente lo abbia attuato. In parole povere significa che viene rimessa al giudice la valutazione sull’efficacia del modello adottato per evitare che molte società adottino un modello di organizzazione tanto per avere la coscienza pulita senza poi metterlo in pratica. Infatti non è sufficiente munirsi di un modello di organizzazione e di controllo, è necessario anche prevedere l’Organismo di Vigilanza che si occuperà di far rispettare il modello adottato. Non esiste uno schema definito per legge né tantomeno degli standard da utilizzare. E’ un modello che deve necessariamente essere predisposto e strutturato su misura.

Struttura del modello di organizzazione e controllo.

Il modello generalmente si compone di tre sezioni. La prima riguarda gli aspetti generali sull’ambito operativo dell’ente (settore di mercato, dislocazione delle unità produttive, struttura dell’ente ecc. ecc.). La seconda parte riguarda invece l’aspetto sostanziale ed è quella più importante anche in funzione dell’esimente che riveste il modello (se fatto in modo adeguato) in sede penale. La terza parte sono gli allegati al modello che consistono generalmente nel Codice Etico, Sistema o Codice Disciplinare, Regolamento di funzionamento dell’Organismo di Vigilanza e la normativa di riferimento aggiornata.

Entrando nel merito della seconda parte, quella sostanziale possiamo a sua volta suddividerla in quattro fasi. Una prima fase dove avviene un check-up aziendale e del sistema organizzativo. Una seconda fase dove viene eseguita una mappatura delle attività aziendali con i soggetti coinvolti e conseguentemente l’identificazione delle aree a rischi di commissione reati. La terza fase nella quale viene effettuata una valutazione del rischio di commissione del reato e la previsione di opportune procedure preventive di controllo al fine di evitare la commissione o quantomeno a ridurne sensibilmente il rischio. Nella quarta ed ultima fase  verranno individuati i protocolli diretti a pianificare la formazione del personale nonché a portare a conoscenza il modello organizzativo sia internamente verso i dipendenti che esternamente nei riguardi di fornitori e consulenti esterni.

Organismo di Vigilanza (OdV).

Il Decreto Legislativo  prevede che il modello organizzativo per avere una efficacia esimente deve essere sottoposto alla vigilanza sul funzionamento e sulla sua osservanza da parte di un organismo di controllo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo ovvero l’Organismo di Vigilanza o OdV. In relazione a quest’ultimo la legge non dice granché, conseguentemente la sua organizzazione, struttura e funzionamento sono rimesse alla decisione dell’ente. Ovviamente l’Organismo che si verrà a creare dovrà avere le caratteristiche per prevenire la commissione di reati, nonché i poteri per far rispettare il modello adottato, altrimenti non avrebbe senso una previsione normativa in tal senso.

Non vengono dati indicazioni sul numero dei componenti né tantomeno sulle qualifiche professionali dei soggetti. Considerando però che l’OdV deve:

  • verificare l’adeguatezza del modello a prevenire situazioni di rischio;
  • segnalare all’organo dirigente (qualunque esso sia in funzione della struttura societaria) le violazioni al modello che sono state accertate al fine di provvedere all’adozione di provvedimenti;
  • controllare l’applicazione, il funzionamento e l’effettività del modello organizzativo approvato;
  • in relazione al modello di organizzazione proporre modifiche o il semplice aggiornamento alle modifiche legislative per rendere sempre attuale e soprattutto adeguato lo stesso alle eventuali nuove situazioni di rischio con contenuti efficaci;
  • verificare periodicamente le deleghe in vigore presso l’ente;

appare evidente che i soggetti che dovranno fare parte dell’OdV debbano avere le competenze adeguate a tali scopi.

Nonostante ci sia anche la possibilità di avere un organo OdV in composizione monocratica, è comunque consigliabile che lo stesso sia collegiale e che sia composto da differenti professionalità all’interno. Mi permetto di suggerire non una composizione tipo dell’OdV, ma le figure che ritengo non debbano mancare. Tra queste troviamo: un legale, che abbia piena conoscenza dell’ambito di operatività della società o ente, nonché un responsabile della società per ogni settore di attività avendo questi ultimi il polso della situazione sul campo.

 

Per qualsiasi ulteriore informazione o domanda sull’argomento potete contattare in forma privata l’Avv. Daniele Ingarrica mediante il form presente nella pagina contatti . Per lasciare invece un commento visibile a tutti sul blog andare in fondo alla pagina.

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