La certezza della pena esiste?

Esiste la certezza della pena? Affermare che in Italia non esista la certezza della pena è una falsità. I Giudici non possono non applicare la legge e pertanto il problema (se mai dovesse esserci) non è della certezza della pena, ma dell’impianto normativo. Con l’articolo di oggi vorrei far chiarezza sul concetto di certezza della sanzione penale che molte persone, a partire dai giornalisti e politici, chiamano in causa alle volte per evidenziare la “mala gestio” dello Stato (e del partito al governo), altre volte per evidenziare problematiche del sistema giudiziario.

La maggior parte delle volte infatti il concetto di mancanza di certezza della sanzione viene associata ad episodi nei quali un condannato sconta di fatto una condanna decisamente troppo lieve secondo i parametri della morale pubblica (vedi l’esempio sotto).

Per comprendere il meccanismo della sanzione penale e della sua attuazione ed espiazione è necessaria una premessa sui principi generali del nostro ordinamento (leggi anche l’articolo “Perché nessuno va in prigione“).

Che cos’è la pena.

La pena è una sanzione che viene inflitta da un giudice nel momento in cui si accerta oltre ogni ragionevole dubbio che un soggetto ha commesso un reato. Secondo la nostra Costituzione (Art. 27 Cost.) la pena deve avere lo scopo della rieducazione o risocializzazione del soggetto ed in questa ottica il carcere è l’ultima strada da percorrere. Sempre nell’ottica della rieducazione, quando la sanzione detentiva in carcere sta per finire, ricorrendo alcuni presupposti è possibile che il condannato possa avere dei benefici (che vedremo dopo). Pertanto la pena non è una sanzione fine a se stessa.

Come viene determinata la pena.

Il giudice nel momento in cui ha raggiunto un grado di certezza prossima al 100% sulla responsabilità penale dell’imputato, deve comminare la pena. Questa viene determinata nel minimo e nel massimo direttamente dalla legge; così come vengono determinati i parametri per calcolare la pena  in occasione di più reati (concorso formale o materiale dei reati) lasciando al giudice il compito di adeguare la sanzione e la pena al fatto concreto.

Questo margine di discrezionalità è previsto dall’art. 123 c.p.il quale recita “nei limiti fissati dalla legge il giudice applica la pena discrezionalmente; esso deve indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale. Nell’aumento o nella diminuzione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvi i casi espressamente previsti dalla legge”.

Ai fini dell’adeguamento della pena al caso concreto il giudice ha a disposizione i parametri dell’art. 133 c.p. che consistono nella gravità del reato (modalità dell’azione, gravità del danno, intensità del dolo o grado della colpa ecc.); nella capacità a delinquere del reo (dei motivi a delinquere, precedenti penali, le modalità della condotta, condizioni di vita del reo ecc.).  Altri parametri per la determinazione della pena (indicati qui in modo puramente esemplificativo e non esaustivo) sono l’applicazione o meno delle circostanze (attenuanti e/o aggravanti) così come la scelta del rito. Le prime riguardano il reato ed il reo e possono determinare sia un aumento che una diminuzione della pena, la seconda invece riguarda la procedura. Infatti nel nostro ordinamento esistono dei riti speciali e tra questi i più comuni sono il rito abbreviato e l’applicazione di pena su richiesta delle parti (detto anche patteggiamento). I riti speciali sono tali in quanto non seguono la procedura ordinaria,  sono più snelli e veloci e concedono una diminuzione di pena.

L’espiazione della condanna.

Come viene espiata la condanna? Il nostro ordinamento, in ossequio al principio dettato dall’art. 27 della Costituzione prevede diverse forme di espiazione della pena. Queste possono variare a seconda della durata della condanna inflitta, oppure in base al fatto se il condannato ha commesso un reato per la prima volta. Pertanto in questo caso se la pena dovesse essere inferiore ai due anni di reclusione è applicabile la sospensione condizionale della pena ecc..

Di fatto sono diverse le possibilità e sono tante le combinazioni possibili che variano a seconda dei casi ed è difficile ipotizzarle tutte. Però al solo fine di fare un esempio pratico ipotizziamo una condanna a 10 anni di carcere ed il detenuto dopo 6 anni esce dal carcere. Questo fatto solleva una indignazione generale ma perché questo è possibile?

Per comprendere questo passaggio è necessario tenere a mente che il principio che sta alla base di tutto è sempre la rieducazione e risocializzazione del condannato.

L’art. 54 dell’Ordinamento Penitenziario

definisce la liberazione anticipata come “una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata” che è concessa “al condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione”. Pertanto dopo 6 anni di carcere il detenuto non dovrà scontare più 10 anni, ma 8 anni e 6 mesi.

Conseguentemente al condannato resterebbero da scontare 2 anni e 6 mesi di reclusione. Tale periodo è possibile scontarlo in diversi modi. Tra questi per esempio troviamo  ex art. 47 Ord. Pen. “L’affidamento in prova al servizio sociale“, oppure ex art. 47 ter Ord. Pen.  “Detenzione domiciliare“, oppure ex art. 48 Ord. Pen. “Regime di semilibertà”. Queste misure alternative alla detenzione per l’opinione pubblica non costituiscono forme di espiazione della condanna in quanto il detenuto esce materialmente dal carcere, mentre lo sono per l’ordinamento giuridico.

Conclusioni

Chiediamo la certezza della pena

Per rispondere ora alla domanda iniziale ovvero se in Italia esiste la certezza della pena, la risposta non potrà che essere affermativa. Si, la certezza dell’espiazione della pena c’è ed è sempre applicata. Lo slogan più o meno politico come il cartello qui a fianco, viene spesso e volentieri utilizzato da politici per i loro spot elettorali al fine di far leva sul malumore del popolo. Si può discutere sulla validità o meno delle norme che tendono alla rieducazione e risocializzazione del condannato. Si può discutere sulle modifiche da apportare e magari sul fatto che il legislatore nel tentativo di applicare al meglio i dettami dell’art. 27 della Costituzione abbia ecceduto nel concedere al condannato troppe possibilità, con la conseguenza che alcuni soggetti se ne siano approfittati. Così come si può discutere sul fatto che alcuni reati debbano essere puniti più severamente. Affermare che in Italia non esiste certezza della pena è una falsità! I Giudici non possono non applicare la legge e conseguentemente il problema non è della certezza della pena, ma casomai potrebbe essere dell’impianto normativo.

I dati ufficiali

Da un dossier pubblicato da openpolis.it (scaricabile qui) che si basa su dati del Ministero della Giustizia è possibile svolgere alcune considerazioni. In primo luogo siamo il paese in Europa (tra quelli posti a confronto) che in percentuale utilizziamo meno gli istituti delle misure alternative alla detenzione, in secondo luogo, che coloro che hanno beneficiato ed approfittato delle misure alternative alla detenzione (in particolar modo l’affidamento in prova al servizio sociale) sono decisamente meno soggetti alla commissione di un secondo reato rispetto a chi invece ha scontato la pena sempre all’interno di un istituto penitenziario. Ciò significa che il legislatore, nella previsione normativa delle misure alternative alla detenzione e con lo scopo della rieducazione del soggetto, è sulla strada giusta.

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