Tentata violenza sessuale su minore mediante l’invio di messaggi sul cellulare

È possibile configurare una tentata violenza sessuale solo mediante l’invio di messaggi sul cellulare? Secondo la Corte di Cassazione si. Con la Sentenza n. 19672/2018 la Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello con la quale un soggetto era stato condannato, tra gli altri reati, anche per tentata violenza sessuale ai danni di un minore.

Il caso.

Dalla lettura della sentenza si può dedurre che un soggetto aveva cominciato ad inviare messaggi sempre più espliciti ed insistenti all’utenza di un soggetto minorenne. Successivamente, visto il rifiuto sempre più forte del minore, il soggetto si è fermato dal continuare ad inviare messaggi.

Ovviamente la domanda che sorge spontanea è: come sia possibile che dei semplici messaggi seppur espliciti ed insistenti possano configurare il reato di tentata violenza sessuale? La risposta che da la Suprema Corte si basa sostanzialmente su due elementi. La capacità intimidatoria dei messaggi e la violazione della libertà di autodeterminazione della vittima.

La capacità intimidatoria dei messaggi.

Come può un semplice messaggio ad integrare il reato di tentata violenza sessuale? Secondo gli Ermellini era chiara e senza ombra di dubbio l’univoca intenzione dell’imputato di soddisfare delle proprie fantasie sessuali. Questo è stato dedotto dalla lettura dei messaggi ricevuti dal minore. Inoltre tali messaggi avevano un contenuto anche minaccioso ed intimidatorio. Ovviamente il tutto deve essere rapportato anche alla presumibile fragilità psicologica della vittima (che ricordiamo essere minorenne); nonché da come la stessa abbia reagito nel ricevere i predetti messaggi.

La violazione della libertà di autodeterminazione della vittima.

Ogni individuo in quanto tale, ha il diritto di autodeterminarsi, ovvero deve poter essere capace e libero di scegliere autonomamente le proprie decisioni. I giudici del merito hanno ritenuto violato questo diritto, probabilmente proprio a causa del tenore minaccioso ed intimidatorio dei messaggi e, sempre probabilmente, a causa della fragilità della persona offesa. Fragilità determinata dalla minore età.

Tentativo o desistenza volontaria?

Per consolidato orientamento giurisprudenziale, è configurabile il tentativo del delitto di violenza sessuale anche quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal  soggetto agente denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale.  

Fatta questa precisazione e rapportando il tutto al caso concreto si osserva che è configurabile il tentativo e non la desistenza volontaria nel caso in cui (come nel caso di specie) la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell’evento non per volontaria iniziativa del soggetto agente, ma per fattori esterni che ne impediscano, comunque, la prosecuzione dell’azione.

Le conclusioni della Corte di Cassazione.

Sulla capacità quindi dei messaggi ad integrare il reato di tentata violenza sessuale, i Giudici di Cassazione hanno ritenuto congrue le considerazioni mosse dai giudici di merito ed in particolare hanno “ritenuto integrato il reato di tentata violenza sessuale […] in quanto le modalità minacciose che avevano caratterizzato l’agire dell’imputato erano idonee e dirette a costringere il destinatario a tenere, contro la propria volontà, la condotta pretesa dall’agente […] e che erano state improduttive del risultato conseguito solo per il rifiuto all’incontro sessuale da parte del minore […]”

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