D.LGS. 231/01 responsabilità amministrativa degli Enti e delle Società

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Come è noto, il “D.Lgs 231/01 responsabilità amministrativa degli enti e delle società”, ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa di Enti e Società da accertare in sede in sede penale.

Si può parlare di una vera e propria rivoluzione nell’ambito del diritto Nazionale in quanto fino alla sua attuazione, le società, anche conformemente all’art. 27 della nostra Costituzione, non potevano delinquere. Per leggere, in versione attuale ed aggiornata al 05/10/2021, del testo del D.Lgs. 231/01 cliccare qui. Al vaglio del Senato, è presente una importante modifica normativa per rendere obbligatorio per alcune tipologie di società, l’adozione del modello di organizzazione e controllo previsto dal D.Lgs. 231/01 (clicca qui per leggere l’articolo).

Concetti generali del D.lgs. 231/01.

E’ raffigurabile una pseudo responsabilità penale in conseguenza dei reati commessi da parte di collaboratori dipendenti e/o persone che rivestono ruoli apicali. Il legislatore, nella relazione accompagnatoria al Decreto Legislativo 231/01, ha preferito introdurre un tertium genus di responsabilità che si pone a cavallo tra la responsabilità amministrativa e quella penale. La finalità del Decreto Legislativo 231/01 è stato quello di reprimere ogni forma di economia illegale. Infatti nasce dall’esigenza di punire direttamente gli enti o società nel cui interesse viene commesso il reato. Infatti prima dell’attuazione del Decreto, sulla base del principio che le società non esprimono una propria volontà, ma agiscono attraverso i soggetti che la compongono.

I responsabili di eventuali reati erano sempre e solo le persone fisiche, pur avendo commesso i reati in favore della società. Questo consentiva all’impresa di godere comunque del vantaggio, ottenuto discriminando così tutte le aziende che tendevano a conseguire il proprio utile rispettando le regole, falsando di fatto il mercato.

La normativa riguardante la responsabilità degli enti e delle società rientra nel più ampio concetto di compliance aziendale (leggi qui l’articolo).

Quali enti sono i destinatari della normativa?

La disciplina relativa alla responsabilità amministrativa dipendente da reato si applica a tutti i soggetti forniti di personalità giuridica. Pertanto si applica alle società ed associazioni anche prive di personalità giuridica. Sono comunque previste specificatamente delle esclusioni. Queste sono: le società di fatto ed i fondi comuni di investimento; lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Pertanto, società c.d. “miste” ovvero le società tra privati e la Pubblica Amministrazione rientrano nella fattispecie che possono essere considerate responsabili ex D.Lgs 231/01.

Quando un ente o società è responsabile per i fatti commessi dal proprio dipendente?

Un ente o società è responsabile penalmente nel momento in cui una persona fisica, con un ruolo all’interno dell’ente o società, commette uno dei reati previsti nell’interesse o nel vantaggio dell’ente.

Spetterà dunque al giudice penale decidere sulla responsabilità penale dell’ente collegata alla commissione di reati da parte dei propri dipendenti realizzate nell’interesse dell’ente medesimo. Per esempio a titolo esemplificativo: corruzione, concussione, truffa aggravata, frode informatica, reati societari, ecc. . L’eventuale accertamento di tale responsabilità da parte dell’ente, non comporta certo le “classiche sanzioni” previste dal codice penale (reclusione, multa, arresto e contravvenzione); ma saranno sanzioni amministrative che vanno dal pagamento di una somma, alla revoca di licenze o alla sospensione della propria attività per un determinato periodo di tempo.

Tuttavia l’art. 6 del D.Lgs 231/01 prevede l’esonero da responsabilità dell’ente che dimostri di aver attuato al proprio interno modelli di organizzazione e di controllo idonei a prevenire il compimento degli illeciti stabilendo l’apposita creazione di un Organo di vigilanza interno.

Quali sono i criteri di responsabilità?

L’art. 5 del D.Lgs 231/01 prevede che :

a) “l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)”

Questo sempre che il soggetto non abbia agito nel suo esclusivo interesse personale. In tal caso non si può parlare di responsabilità dell’ente.

L’elemento oggettivo.

Diciamo che è possibile parlare di una responsabilità oggettiva in base alla quale è ascrivibile alla società la responsabilità amministrativa dipendente da un reato. Le condizioni oggettive per l’incolpazione del fatto sono due. Una riguarda l’interesse della società e quindi la finalità dell’azione; l’altra il vantaggio che la società ne ricava e quindi gli effetti dell’azione posta in essere. (leggi l’articolo sull’interpretazione giurisprudenziale dell’interesse e vantaggio) Per far si che la condotta illecita ricada sull’ente è necessario che il soggetto, autore del reato presupposto, sia in posizione apicale, o subordinata.

Per posizione apicale si intende un soggetto  che riveste funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione. I soggetti che si trovano in posizione subordinata sono coloro che sono sottoposti alla direzione ed alla vigilanza dei soggetti apicali.

L’elemento soggettivo.

Ai fini sempre dell’attribuzione della responsabilità amministrativa è necessario che, oltre all’aspetto oggettivo di cui sopra, ci sia anche un aspetto soggettivo, inteso non come colpevolezza (come nel codice penale per le persone fisiche) ma come rimproverabilità. Pertanto ai sensi del Decreto Legislativo, l’ente sarà destinatario di sanzioni amministrative solo nel caso in cui ad esso sarà rimproverabile una condotta antigiuridica, effettuata mediante scelte consapevoli o quantomeno consistenti nell’inosservanza degli obblighi  di predisporre adeguate misure preventive, di controllo e di vigilanza.

Modello di organizzazione e di controllo – Art. 6 D.lgs 231/01.

Abbiamo visto che l’art. 6 del D.Lgs. 231/01 prevede l’esonero della responsabilità amministrativa da parte della società o ente che dimostri di aver adottato un valido modello di organizzazione e controllo; e qualora riesca a provare che: “l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della fattispecie di quello verificatesi”.

Questo significa che avere un modello di organizzazione e controllo non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell’ente. E’ necessario che il modello attuato sia in astratto idoneo a prevenire il reato che viene contestato ed inoltre deve essere provato che l’organo dirigente lo abbia attuato. In parole povere significa che viene rimessa al giudice la valutazione sull’efficacia del modello adottato per evitare che molte società adottino un modello di organizzazione tanto per avere la coscienza pulita senza poi metterlo in pratica. Infatti non è sufficiente munirsi di un modello di organizzazione e di controllo, è necessario anche prevedere l’Organismo di Vigilanza che si occuperà di far rispettare il modello adottato. Non esiste uno schema definito per legge né tantomeno degli standard da utilizzare. E’ un modello che deve necessariamente essere predisposto e strutturato su misura.

Struttura del modello di organizzazione e controllo.

Il modello generalmente si compone di tre sezioni. La prima riguarda gli aspetti generali sull’ambito operativo dell’ente (settore di mercato, dislocazione delle unità produttive, struttura dell’ente ecc. ecc.). La seconda parte riguarda invece l’aspetto sostanziale ed è quella più importante anche in funzione dell’esimente che riveste il modello (se fatto in modo adeguato) in sede penale. La terza parte sono gli allegati al modello che consistono generalmente nel Codice Etico, Sistema o Codice Disciplinare, Regolamento di funzionamento dell’Organismo di Vigilanza e la normativa di riferimento aggiornata.

Entrando nel merito della seconda parte, quella sostanziale possiamo a sua volta suddividerla in quattro fasi. Una prima fase dove avviene un check-up aziendale e del sistema organizzativo. Una seconda fase dove viene eseguita una mappatura delle attività aziendali con i soggetti coinvolti e conseguentemente l’identificazione delle aree a rischi di commissione reati. La terza fase nella quale viene effettuata una valutazione del rischio di commissione del reato e la previsione di opportune procedure preventive di controllo al fine di evitare la commissione o quantomeno a ridurne sensibilmente il rischio. Nella quarta ed ultima fase verranno individuati i protocolli diretti a pianificare la formazione del personale nonché a portare a conoscenza il modello organizzativo sia internamente verso i dipendenti che esternamente nei riguardi di fornitori e consulenti esterni.

Organismo di Vigilanza (OdV).

Il Decreto Legislativo  prevede che il modello organizzativo per avere una efficacia esimente deve essere sottoposto alla vigilanza sul funzionamento e sulla sua osservanza da parte di un organismo di controllo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo ovvero l’Organismo di Vigilanza o OdV. In relazione a quest’ultimo la legge non dice granché, conseguentemente la sua organizzazione, struttura e funzionamento sono rimesse alla decisione dell’ente. Ovviamente l’Organismo che si verrà a creare dovrà avere le caratteristiche per prevenire la commissione di reati, nonché i poteri per far rispettare il modello adottato, altrimenti non avrebbe senso una previsione normativa in tal senso.

I Compiti dell’OdV.

Non vengono dati indicazioni sul numero dei componenti né tantomeno sulle qualifiche professionali dei soggetti. Considerando però che l’OdV deve:

  • verificare l’adeguatezza del modello a prevenire situazioni di rischio;
  • segnalare all’organo dirigente le violazioni accertete rispetto al fine di provvedere all’adozione di provvedimenti;
  • controllare l’applicazione, il funzionamento e l’effettività del modello organizzativo approvato;
  • in relazione al modello di organizzazione proporre modifiche o il semplice aggiornamento alle modifiche legislative per rendere sempre attuale e soprattutto adeguato lo stesso alle eventuali nuove situazioni di rischio con contenuti efficaci;
  • verificare periodicamente le deleghe in vigore presso l’ente.

Appare evidente che i soggetti che dovranno fare parte dell’OdV debbano avere le competenze adeguate a tali scopi.

La composizione dell’OdV.

Nonostante ci sia anche la possibilità di avere un organo OdV in composizione monocratica, è comunque consigliabile che lo stesso sia collegiale e che sia composto da differenti professionalità all’interno. Mi permetto di suggerire non una composizione tipo dell’OdV, ma le figure che ritengo non debbano mancare. Tra queste troviamo: un avvocato penalista, che abbia piena conoscenza dell’ambito di operatività della società o ente, nonché un responsabile della società per ogni settore di attività avendo questi ultimi il polso della situazione sul campo.

Sanzioni.

Per quanto riguarda l’aspetto sanzionatorio il legislatore ha previsto  quattro tipologie di sanzioni differenti:

  • sanzioni pecuniarie;
  • sanzioni interdittive;
  • la pubblicazione della sentenza;
  • la confisca (quest’ultimo di evidente derivazione penalistica).

Sanzioni pecuniarie

Le sanzioni pecuniarie vengono determinate in base alle quote. l’art. 10 comma 2 e 3 recitano “la sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille. L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni”. Pertanto il Giudice de quo nel valutare la sanzione da applicare deve prima  stabilire il numero delle quote assegnata come sanzione e successivamente attribuirgli un valore economico. Il numero delle quote viene stabilito in relazione alla gravità del reato, mentre il valore delle stesse viene fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente.

Sono previste comunque delle diminuenti. Infatti se l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio oppure il danno cagionato è di particolare tenuità, la pena potrà essere diminuita della metà e comunque non essere superiore a duecento milioni di lire. Mentre la sanzione è ridotta da un terzo alla metà nel caso in cui l’ente risarcisca integralmente il danno oppure nelle more adotti e renda operativo un modello di organizzazione idoneo a prevenire reati della medesima fattispecie che vengono contestati.

Sanzioni interdittive

Queste si applicano in relazione ai reati che lo prevedono specificatamente ed inoltre qualora ricorrono le seguenti condizioni:

  • l’ente ha tratto un profitto rilevante ed il reato è stato commesso da persone che rivestono posizioni apicali all’interno dell’azienda;
  • in caso di reiterazione degli illeciti.

Le sanzioni interdittive sono:

  1. l’interdizione dall’esercizio o dell’attività;
  2. la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  3. il divieto di contrarre con la P.A. salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  4. l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti o contributi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  5. il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Per la scelta di quale sanzione interdittiva applicare il Giudice, sulla base dei criteri previsti per la determinazione della sanzione amministrativa, determina la misura più idonea a prevenire gli illeciti dello stesso tipo di quello commesso. La misura dell’Interdizione dall’attività è una misura residuale, ovvero viene applicata quando tutte le altre misure risultano inadeguate.

La pubblicazione della sentenza e la confisca

Entrambe le sanzioni sono di stampo penalistico. La pubblicazione della sentenza, che avviene ai sensi dell’art. 36 del codice penale, è disposta solo nel caso in cui sia stata disposta una sanzione interdittiva. Questo perché la sua funzione è quella di informare la collettività dell’avvenuta condanna creando un grave danno all’immagine dell’azienda e pertanto il legislatore ha scelto che sia applicabile, discrezionalmente, solo nei casi più gravi.

La confisca consiste nella privazione coattiva di un dato bene che in qualche modo è collegato con la realizzazione del reato. Così come si legge dal testo normativo, nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato.

A chi conviene adottare un modello di organizzazione e controllo.

Questa sicuramente è la parte più difficile. Premesso che l’adozione del modello di organizzazione e Controllo, così come la nomina del’Organismo di Vigilanza, l’adozione di un Codice Etico e di un Codice Disciplinare non sono obbligatori ma facoltativi, le valutazioni sono molto soggettive e le variabili da considerare sono molteplici. Per aiutarvi in questo ragionamento però posso darvi degli spunti di riflessione partendo dal presupposto che la Vostra società o ente o associazione o impresa non rientri tra quelle che sono escluse dal Decreto Legislativo 231/01.

1) Tipologia di ente

Il primo spunto di valutazione riguarda il tipo di società o ente o associazione delle quali si ha il controllo. Se per esempio siete una Srl unipersonale di certo non avete bisogno di un modello così come descritto negli articoli precedenti, mentre se siete un ente con varie sedi, diversi dipendenti e diversi lavoratori subordinati che rivestono ruoli importanti o decisionali ritengo opportuno che vi dobbiate dotare del Modello di organizzazione e controllo.

2) Settore di operatività

Un secondo spunto può essere la tipologia di settore nel quale operate. Se per esempio offrite un servizio di consulenza software è un discorso; se vi occupate invece di costruzioni, o attività pericolose dove il rischio dei lavoratori è alto, allora nel secondo cosa ritengo che l’adozione di un modello sia praticamente obbligatorio

3) Tipologia di clientela

Un altro punto di riflessione può riguardare la vostra clientela. Se per esempio trattate solo ed esclusivamente con soggetti privati, a meno che non rientrate in settori pericolosi per i dipendenti, allora non c’è un estremo bisogno di adottare il modello. Cosa invece quasi obbligatoria se la vostra clientela è prevalentemente la pubblica amministrazione. In tal senso faccio presente come la regione Abruzzo con la legge n. 15 del 2011 ha stabilito che gli enti dipendenti e strumentali della regione, aziende regionali, società controllate o partecipate entro 6 mesi dalla sua promulgazione hanno dovuto adottare il modello di organizzazione e controllo. Così la regione Lombardia con decreto n. 5808 del 2000 ha previsto obbligatoriamente, per gli enti di formazione richiedenti l’accreditamento all’attività formativa, la nomina dell’Organismo di Vigilanza, l’approvazione di un Codice Etico e l’adozione di un modello di gestione e controllo.

4) Controllo società

Per valutare questo ulteriore spunto di riflessione mi sono immaginato di avere una società. Se io avessi il pieno controllo della stessa, per il semplice fatto che tutte le decisioni operative, sono sotto il mio diretto controllo, potrei anche pensare di non adottare il modello. Ovviamente a meno che non abbia come clientela la Pubblica Amministrazione. Se invece anche solo in minima parte le decisioni dovessero essere prese da altri soggetti che potrebbero portare a delle responsabilità non solo nei confronti della società ma anche miei, allora non avrei dubbi sul da farsi. Non bisogna dimenticare che l’art. 2392 c.c. laddove prevede che : “gli amministratori, […], sono solidamente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminare o attenuare le conseguenze dannose …..”

Considerazioni.

Quello che generalmente viene compreso dagli organi di controllo delle società è che, adottare un codice etico, un codice disciplinare, un modello di organizzazione e controllo e nominare un Organismo di Vigilanza significa buttare soldi dalla finestra. Vero è che il tutto ha dei costi e che questi non sono neanche bassi. Non si deve guardare questa tipologia di organizzazione come una perdita di tempo e denaro, bisognerebbe guardarla come un’opportunità. Non si deve neanche guardare la cosa dal punto di vista della possibile commissione o meno di reati; ma solo dal punto di vista del miglioramento dell’efficienza aziendale e di un salto in positivo per quanto riguarda l’immagine che viene fornita al cliente.

L’efficienza aziendale migliorerebbe in quanto con il codice etico verrebbero chiariti i principi  generali a cui la società mira di arrivare o vuole continuare a mantenere, con il codice disciplinare verrebbero chiarite meglio alcune regole da osservare e da rispettare (regole più chiare significa anche minor contenzioso), con il modello di organizzazione e controllo si preverrebbe la commissione di reati anche solamente colposi (oltre ad un positivo risvolto di immagine) mentre con la nomina dell’organismo di vigilanza si avrebbe un controllo totale sulla società. Tutto questo porterebbe gli organi di controllo a poter non solo dormire sonni tranquilli, ma anche a poter dedicare il loro tempo ad altre attività quali per esempio strategie di marketing o migliori soluzioni aziendali  al fine di poter incrementare i profitti ecc. ecc.

Ultimi aggiornamenti.

Per restare aggiornati sull’evoluzione della responsabilità amministrativa di enti e società, si consiglia di leggere anche i seguenti articoli tutti a firma dell’Avv. Daniele Ingarrica:

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