La pena naturale – Una rivoluzione nel nostro ordinamento?

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La pena naturale consiste nella possibilità per il giudice di astenersi dal condannare un imputato qualora questo abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso. È una ipotesi sconosciuta al nostro ordinamento ed è stata sollevata, al fine della sua introduzione, la questione di illegittimità costituzionale da parte di un giudice “illuminato”. Il dott. Attinà, giudice del Tribunale di Firenze si è rivolto alla Corte Costituzionale sollevando la seguente questione: solleva questione di illegittimità costituzionale dell’art. 529 c.p.p. nella parte in cui, nei procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere allorché l’agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso. (Scarica il testo integrale della questione di ilelgittimità)

Il caso in questione.

Zio e nipote, che avevano un rapporto molto stretto e che lavoravano insieme, si occupavano di lavori edili. Il nipote era alle dipendenze dello zio e, in occasione di lavori su di un tetto, a causa della mancata attuazione di alcune misure di sicurezza previste per legge, il nipote cadendo muore. All’arrivo dei soccorsi, questi trovano lo zio disperato che tentava inutilmente di rianimare il nipote All’interno del processo i genitori del ragazzo defunto non si costituiscono parte civile.

La teoria della pena naturale o poena naturalis.

La pena naturale è un principio già presente in altri ordinamenti giuridici quali quello tedesco[1], svedese[2], finlandese, argentino, peruviano, boliviano, colombiano ed altri. Deve essere inteso come il male di carattere fisico, morale o psicologico che l’agente subisce per effetto della sua stessa condotta illecita colposa. Sono cioè ipotesi in cui l’autore del reato è anch’egli vittima del reato stesso vuoi direttamente vuoi indirettamente. L’esempio di scuola è un incidente stradale causato da una condotta del conducente (illecita e colposa), che provoca la morte della moglie o di altro membro della propria famiglia che si trovava all’interno dell’autovettura.

Già nella legge delega per l’emanazione del nuovo codice penale elaborato nel 1991[3], la cui commissione era presieduta dal Prof Pagliaro, nell’art. 40 era previsto che il giudice si astenesse dal pronunciare sentenza di condanna per un reato colposo quando al reo fossero già derivati, dalla propria condotta illecita, effetti pregiudizievoli tali da rendere l’applicazione della pena ingiustificata[4] (pena naturale). Nel 2006 la commissione Pisapia istituita dal Ministro Mastella si limitava ad introdurre un “correttivo di equità” in base al quale il giudice avrebbe potuto applicare una ulteriore diminuzione quando la pena prevista fosse risultata eccessiva rispetto al disvalore del fatto commesso. Nel corso dei lavori era anche emersa la possibilità di prevedere in casi eccezionali, una causa di non punibilità[5]

La pena come conseguenza necessaria all’accertamento di un reato.

La pena è la conseguenza dell’illecito penale ed ha, così come è previsto nel nostro ordinamento, una doppia funzione: quella rieducativa[6] e special-preventiva, e quella social-preventiva. La prima è caratterizzata dal fatto che il colpevole, attraverso la pena, capisca il disvalore giuridico dell’atto commesso al fine di non commetterlo più; la seconda invece è una funzione dissuasiva dal commettere reati in quanto, in caso contrario, verrà comminata una pena.

Il fine rieducativo della pena si estrinseca in numerose norme che, in base a parametri precisi, consentono una riduzione della pena che può essere totale o parziale. Inoltre, il fine rieducativo si evidenzia anche nel principio di proporzionalità della pena. Un trattamento sanzionatorio sproporzionato[7] rispetto al fatto commesso sarebbe ritenuto ingiusto da parte del colpevole al punto tale da non considerare più quella sanzione come corretta e quindi idonea alla rieducazione ma sarebbe soltanto una sanzione afflittiva.

Una volta accertata la responsabilità penale di un soggetto, l’irrorazione della pena sembra essere un automatismo, ma non è così. La nostra Costituzione pone al centro del sistema l’individuo e le leggi sono in funzione dell’individuo, non il contrario. Nessun automatismo può essere assoluto. Una pena concretamente priva di una qualsivoglia utilità sarebbe fine a se stessa e si ridurrebbe ad essere un atto irrazionale e disumano.

I profili di illegittimità sollevati dal Dott Attinà.

Sono diversi i profili di illegittimità sollevati e rimessi alla decisione della Corte Costituzionale.

1) La violazione del principio di proporzionalità della pena

Questo principio non è espresso da nessuna norma specifica ma è desumibile da differenti principi generali della Carta Costituzionale. Alcune pronunce lo fanno derivare dal principio di uguaglianza di cui all’art. 3 e dal principio della funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27 comma 3. Altre pronunce lo ricavano dal principio di offensività ex art. 25 comma 2 e dal principio della personalità della responsabilità penale ex art. 27 comma 1.

Il concetto di pena naturale si inserisce proprio nel concetto di valutazione della proporzione della pena rispetto alla gravità del fatto commesso. Infatti, nel caso in cui un imputato, a causa del fatto commesso, abbia già provato una sofferenza proporzionata alla gravità del fatto, ogni ulteriore pena sarebbe sproporzionata ed eccessiva.

2) La violazione del principio di ragionevolezza-proporzionalità. La non necessità della condanna

Questo profilo di illegittimità attiene alla possibile violazione degli artt. 3 e 13 della Costituzione in ragione della non necessaria compressione della libertà personale dell’individuo. Il Dott. Attinà si è chiesto se, di fronte ad un reato colposo che cagioni la morte di un prossimo congiunto, la punizione è sempre necessaria o se sia più conforme ai principi costituzionali dare la possibilità al giudice di astenersi dal condannare l’imputato.

Una eventuale condanna per un omicidio colposo non assolverebbe alla funzione social-preventiva intesa come monito per i consociati, ma come conferimento di concretezza nel singolo caso della previsione normativa (questa sì rivolta ai consociati con finalità dissuasiva) e non certo avrebbe una finalità rieducativa. Questo in quanto per un padre o una madre che colposamente hanno cagionato la morte di un figlio, non potrà che vedere una ulteriore pena come irragionevole o addirittura come un crudele accadimento della Stato nei suoi confronti. Una pena non avrebbe neppure la funzione special-preventiva[8] in quanto l’applicazione di una pena detentiva, in seguito alla morte di un parente stretto, non potrebbe aggiungere nulla in termini di prevenzione speciale. L’autore si asterrà sicuramente dal commettere fatti analoghi in ragione della propria esperienza personale e delle gravi conseguenze subite a prescindere dall’applicazione da parte del giudice di una ulteriore pena.

3) La violazione del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità

Il giudice, in questo caso, ipotizza una illegittimità in relazione all’art. 27 comma 3 per violazione del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, dove per trattamenti, non ci si deve riferire solo alla fase esecutiva della pena ma a tutti i momenti caratterizzanti la fenomenologia punitiva. La proibizione di trattamenti disumani si accompagna al principio della finalità rieducativa della pena. La Corte Costituzionale[9] ha valorizzato il divieto ai trattamenti disumani per dichiarare l’illegittimità dell’art. 47-ter comma 1-ter della Legge 354/1975 nella parte in cui non prevedeva, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, che il tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione della detenzione domiciliare in deroga a limiti del medesimo articolo.

Ebbene, processare e punire in relaziona ad un reato colposo chi abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso pare contrario al senso di umanità che permea l’intera costituzione e che è formalmente accolto nell’art. 27 comma 3

In conclusione sulla pena naturale.

La questione sollevata dal Giudice Attinà è profonda e, seppur sicuramente limitata a pochissimi casi, non può passare inosservata. Sicuramente sarebbe auspicabile un intervento del legislatore ma nel frattempo, la Corte Costituzionale potrebbe dare una interpretazione dell’art. 529 c.p.p.  dichiarandolo illegittimo nella parte in cui, nei procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere allorché l’agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso, dando così un autorevole impulso al legislatore.  

Note.

[1] Codice penale tedesco (Strafgesetzbuch) il cui paragrafo 60 prevede che il giudice si astenga dall’infliggere la pena che non superi un anno di detenzione se le conseguenze del fatto che hanno già colpito l’autore sono così gravi che la pena risulterebbe manifestamente inappropriata;

[2] Codice penale svedese il cui codice criminale al cap 29, sez. 5 e 6 prevede che il giudice in presenza di situazioni specifiche possa applicare una pena ridotta o possa annunciare la remissione della sanzione

[3] Commissione nominata dal ministro Vassalli

[4] Art. 40 Astensione della pena: prevedere che il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato colposo, possa astenersi dall’infliggere la pena, quando il reo abbia subito gli effetti pregiudizievoli del reato in misura e forma tale che l’applicazione della pena risulterebbe ingiustificata sia in rapporto alla colpevolezza che alle esigenze di prevenzione speciale. Previsione di un’analoga possibilità per il reato doloso, purché gli effetti pregiudizievoli si siano verificati esclusivamente a carico del soggetto agente.

[5] In sede di votazione questa previsione non fu votata dalla maggioranza

[6] Prevista dalla Costituzione ex art. 27 comma 3

[7] Sentenza Corte di Cassazione n. 136/2020 dove deve essere inteso come trattamento sanzionatorio quello complessivo, ovvero composto sia dalla pena detentiva che pecuniaria

[8] Funzione social-preventiva: in riferimento al monito per la società; special-preventiva: in riferimento al soggetto stesso che ha commesso il fatto al fine di evitare di ripeterlo

[9] Sentenza della Corte Costituzionale n. 99 del 2019

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