Avvocato, una professione in crisi?

Avvocato, una professione in crisi

In questi ultimi anni sentiamo spesso sentire che la professione di avvocato sia in crisi, che i tempi sono cambiati e che gli avvocati siano troppi. E’ vero tutto questo? Quali sono le cause di tutto questo? Abbiamo delle speranze di uscire da questo “cul de sac”? Sicuramente tante voci che si sentono e si leggono sui vari social sono vere, ma non dobbiamo denigrare sempre tutto e soprattutto è necessario capire con dati alla mano quale sia la verità. Analizziamo passo passo le varie domande e le varie voci che si sentono.

L’avvocatura è in crisi?

E’ sempre il parametro di riferimento che deve essere valutato. Rispetto agli anni ’80 o ’90 sicuramente il mondo dell’avvocatura è cambiato. Gli avvocati che in quel periodo avevano tra i 40 ed i 50 anni hanno vissuto un periodo d’oro. I soldi giravano ed il numero degli avvocati era decisamente inferiore rispetto ad oggi. Quindi sicuramente l’avvocato di oggi rispetto a quello di 20/30 anni fa, sicuramente sta passando un periodo meno florido più difficile.

Questo però sembrerebbe essere un problema comune a tante altre professioni e non dobbiamo trascurare anche il periodo economico che stiamo attraversando e che ancora non è terminato. La maggior parte di coloro che si lamentano, ritengo che abbiano scelto la strada dell’avvocato non per una smodata passione o interesse per il diritto, ma perché si era creata intorno alla professione un’aurea di benessere, di denaro, di prestigio e onorabilità che ha attratto moltissime persone indecise sul cosa fare da grandi.

Quante cancellazioni dagli albi ci sono?

Sento di voci che a causa della crisi dell’avvocatura, molti avvocati si stanno cancellando dagli albi. Sicuramente in alcuni ordini è vero (per esempio l’Ordine degli Avvocati di Napoli ), ma per esempio questo non riguarda l’ordine degli avvocati di Roma. Dai bilanci si evince che nel 2014 ci sono state 592 domande di cancellazione dall’albo degli avvocati e 219 dall’albo dei praticanti, nel 2015 il numero delle cancellazioni è stato 815 dall’albo degli avvocati e 247 dall’albo dei praticanti, nel 2016 le cancellazioni dall’albo degli avvocati a domanda sono state 495 e 360 dall’albo dei praticanti. Tutto questo con una media di avvocati a Roma di circa  25.000 avvocati e circa 1200 praticanti.

Questo significa che, almeno per quanto riguarda l’Ordine degli Avvocati di Roma, non c’è una crisi, quantomeno nel numero degli iscritti.

Quali sono le cause di questa situazione odierna?

Per rispondere a questa domanda è possibile solo fare delle ipotesi e congetture. Partendo da ciò che derivava dall’essere un avvocato negli anni ’80 moltissimi ragazzi hanno scelto la strada della professione forense, sperando di trovare e di poter godere degli stessi benefici di cui hanno beneficiato i precedenti colleghi. Questo ha comportato sicuramente un aumento spropositato nel numero degli iscritti ai vari ordini professionali in tutta Italia. La logica conseguenza è stato un aumento della concorrenza. La concorrenza come concetto generale è un bene ed è positiva. Nel caso della professione forense invece ha avuto risvolti negativi. Infatti invece che elevare il livello di professionalità e di competenze, è stato l’esatto contrario. Questo ha comportato una guerra al ribasso sui prezzi e, purtroppo, anche sulle competenze.

Di fatto oggi ci troviamo nella situazione in cui l’avvocato che per ottenere e mantenersi il cliente, svolge attività quasi a parametro zero; riceve i propri clienti nei tavolini dei bar in quanto per risparmiare preferisce non avere i costi fissi dello studio (cosa che è vietata anche dal codice deontologico). Così facendo noi stessi abbiamo in primo luogo distrutto l’onorabilità e la dignità della nostra professione in secondo luogo abbiamo creato il “Discount dell’avvocato”, che unito a questo momento generalizzato di crisi ha fatto si che il cliente non scelga più il proprio avvocato in base alle proprie competenze, ma solo in base al prezzo.

E’ una strada senza uscita?

Assolutamente no! Sono consapevole che oggi la vita dell’avvocato non sia facile, ma così come siamo stati in grado di rovinare il mondo forense, così potremo sicuramente riportare la nostra professione ai livelli che si merita. In primo luogo è necessario svolgere la professione con passione ed amore ed in secondo luogo cercare con il nostro comportamento di ripristinare quella serietà e dignità che sono state da sempre un punto di forza dell’avvocato. 

Evidenzio che il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n.244/2017 ha stabilito che l’avvocato non può accettare compensi troppo esigui. Nella parte motiva della sentenza si legge che un compenso onnicomprensivo irrisorio modificherebbe la peculiare funzione della professione forense in quanto si tradurrebbe in un comportamento lesivo del decoro e della dignità che devono caratterizzare le attività dell’avvocato. Inoltre, non accettare compensi irrisori rispetterebbe il principio della diretta e leale concorrenza.

Dalla lettura di questa sentenza si evidenzia che un giusto compenso contribuisce a restituire il giusto decoro alla professione. Ma qual’è il giusto compenso? Il Ministero della Giustizia ha emanato nel 2014 il Decreto n. 55 (recentemente modificato dal Decreto Ministero della Giustizia 37/2018) che detta le linee guida per la determinazione dei compensi professionali, con aumenti e riduzioni a seconda dei casi specifici. Questo ovviamente non implica che non si possa per parenti o amici stretti prestare la propria assistenza anche a titolo gratuito.

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